Per capire come mai il traghetto di Olginate abbia avuto questo importante ruolo nei collegamenti tra il nord-est ed i passi alpini lombardi occorre riandare all’indietro di secoli per fermarci al tempo dei Romani quando, durante il periodo imperiale, si procedette alla costruzione di grandi vie di comunicazione non solo per unire i più remoti centri dell’Impero alla capitale Roma, ma anche per permettere un rapido spostamento delle truppe verso i punti dei confini maggiormente minacciati dai barbari.
È in questa prospettiva che fu costruita una strada che congiungeva direttamente Bergamo a Como. Il suo percorso toccava anche Olginate dove superava l’Adda con un poderoso ponte. Da Bergamo la strada andava a confluire nella Postumia, la via consolare che collegava tutte le città del nord con Aquileia, che era il capolinea occidentale della famosa Via dell’ambra e che, a partire dal IV secolo, divenne uno dei due cuori pulsanti della vita politica, economica, religiosa e culturale dell’Italia di allora.
Sappiamo che nei secoli III e IV d.C., la città di Milano raggiunse una notevole importanza dal punto di vista economico, fino a diventare nel 286 la capitale dell’Impero d’Occidente, grazie anche alla sua posizione centrale rispetto alle vie di comunicazione tra l’Italia ed i paesi transalpini. Ed è a questo periodo che gli studiosi sono propensi a far risalire la costruzione della strada e del ponte sull’Adda. Per attraversare l’Adda, i Romani costruirono, proprio di fronte ad Olginate, un imponente ponte in muratura, di circa 150 metri di lunghezza, pochi metri più a monte del luogo in cui oggi si trova l’attuale.
Gli storici collocano la distruzione di questo ponte nel periodo tra il V e VI secolo in seguito a qualche invasione barbarica oppure alle lotte con i Longobardi alla fine del sesto secolo. Nei tempi di secca dell’Adda, i resti delle sue fondamenta sono ancora visibili sotto il pelo dell’acqua, mentre l’intera arcata della testata destra sarebbe inglobata nella struttura conservata nel giardino della villa che si affaccia sulla sponda olginatese del fiume.
La strada romana, proveniente da Bergamo, giungeva in Val San Martino toccando Lorentino e Rossino, con un percorso che tuttora si intravede a mezza costa, scendeva poi a Calolzio per portarsi, attraversando il ponte, ad Olginate. Da Garlate saliva alla sella di Galbiate e quindi scendeva per proseguire, dopo aver aggirato le paludi, per Como. Da Como, attraverso i passi dello Spluga, del Maloja, e del San Bernardino superava le Alpi per immettersi nelle regioni dell’alto Reno e dell’alto Danubio.
Nonostante la distruzione del ponte, questa strada rimase ancora di vitale importanza per i traffici del territorio e quindi si adottarono per ripristinare il collegamento tra le due sponde dell’Adda. Negli anni ‘40 del secolo scorso, durante la costruzione della diga di regolazione del lago di Como che comportò l’ampliamento del letto dell’Adda di circa 50 metri, sulla sponda bergamasca riaffiorarono i resti di una strada che scendeva fino al greto del fiume.
Si può quindi supporre che questa strada fu utilizzata per scendere all’approdo di un porto che si può ipotizzare fosse quello dello scomparso abitato di Cremellina, villaggio bergamasco già citato in un documento dell’anno 887. Lo sviluppo economico dei primi secoli dopo l’anno Mille, aveva creato le premesse per l’espansione dei centri urbani che si trovavano in una posizione favorevole rispetto ai tracciati stradali: Olginate ed il villaggio di Cremellina che gli stava di fronte erano fra questi.
La crescita di questi due centri abitativi confermano che i mercanti ed i viaggiatori continuavano a preferire questo punto di attraversamento dell’Adda, nonostante che una diramazione di questa importante strada, da Lorentino scendesse direttamente a valle per attraversare il fiume tra le località del Lavello e di Capiate, dove era possibile guadare l’Adda con una certa facilità, per poi risalire a Valgreghentino e collegarsi con la strada proveniente da Milano.
È importante sottolineare come sia al Lavello che a Capiate vi furono degli insediamenti prima romani e poi longobardi. Al Lavello, negli anni ’50 del secolo scorso, furono ritrovati resti di pavimenti a mosaico di una villa romana, mentre sulla sponda opposta esiste tuttora il toponimo Caromano e nella vicina località di Capiate, dove nel 745 il nobile longobardo Rottpert di Agrate possedeva una fattoria fortificata, si trova una possente torre di difesa costruita nel IV o V secolo ed è ben visibile, murata sotto una finestra, una parte di una lapide dedicata ad un importante personaggio romano.
Ritornando al traghetto, il trasbordo delle merci e delle persone tra le due sponde dell’Adda furono gestiti, almeno a partire dal secolo XI, dalla potente famiglia dei Capitani di Vimercate che possedeva il diritto di transito e di pesca sull’Adda, dalla fine del lago di Garlate fino al fossato di Arlate.
Ma quali furono i motivi per cui fu la comunità di Olginate ad acquisire queste prerogative a scapito delle comunità rivierasche della Val San Martino, come Cremellina o Lavello, situate sulla sponda opposta dell’Adda?
Una spiegazione si può trovare collocando la vicenda all’interno delle cruente rivalità che videro contrapposte le comunità della Val San Martino, a maggioranza guelfa, a quelle del Monte di Brianza poste sulla sponda destra dell’Adda, di parte ghibellina e legate da sempre a Milano e poi ai suoi signori siano stati essi Visconti o Sforza. Furono le comunità guelfe della sponda bergamasca che pagarono a caro prezzo la loro rivolta anti viscontea del 1373 che culminò con l’uccisione, a Opreno, di Ambrogio figlio di Bernabò Visconti.
La vendetta che ne seguì culminò nella distruzione del monastero di Pontida e di altre località della Val San Martino, fra le quali Cremellina, Lavello e Brivio de sà, l’attuale Sosta, che si trovavano in posizioni strategicamente rilevanti per il controllo dell’Adda. Bernabò Visconti ridimensionò così anche l’influenza che il casato dei Benaglio esercitava nei paesi della Val S. Martino, servendosi scaltramente delle popolazioni ghibelline del Monte di Brianza.
Con la distruzione di Cremellina, i cui resti furono poi ricoperti dalle esondazioni del torrente Gallavesa, e l’allontanamento coatto di ogni altro insediamento bergamasco dalle sponde dell’Adda fu portato a compimento il preciso disegno milanese di eliminare ogni ingerenza ritenuta nemica sull’importante via fluviale, vitale per i commerci, per l’irrigazione della bassa pianura milanese e per l’approvvigionamento della città di Milano.
È quindi probabile che, nel quadro di questi avvenimenti e a discapito delle confinanti comunità della Val San Martino, Olginate e Brivio poterono acquisire, con il beneplacito dei signori di Milano, i diritti di pesca e porto sul tratto dell’Adda che attraversava il rispettivo territorio.
Da quel momento iniziò per la comunità di Olginate quel secolare possesso dei diritti di passo e di pesca su quella parte del corso dell’Adda che attraversava il suo territorio e che avrebbe portato tanta prosperità ai suoi abitanti. Questo fatto acuì le rivalità politiche e commerciali fra gli abitanti delle due sponde, quel confine lungo l’Adda che sarà poi ratificato, con la Pace di Lodi. Con questo trattato la Val San Martino passò definitivamente a Venezia e tale rimarrà fino al 1797.
Con la Pace di Lodi fu definitivamente sancito che il letto del fiume Adda apparteneva al Ducato di Milano. Questo accordo fu riconfermato nel trattato stipulato a Mantova fra Maria Teresa d’Austria e la Repubblica di Venezia e fu stabilito che il dominio dell’Adda, con tutte le sue utilità e comodità, restasse e spettasse al Ducato di Milano e che la linea di confine dovesse essere formata dal fiume Adda medesimo ove corre e correrà nei tempi della sua maggior pienezza esclusi soltanto i casi di straordinaria inondazione.
Per questo motivo era di grande interesse avere in Olginate delle persone fidate e di una certa autorità, nonché avere sempre dalla propria parte gli abitanti dei paesi che stavano sulla riva destra dell’Adda.
Il Ducato di Milano mandò un suo inviato al porto di Olginate con il compito di impedire il passaggio dell’Adda alle persone provenienti da luoghi sospetti di peste, ordinando agli abitanti di Olginate di provvedere al suo vitto e al suo alloggio durante la permanenza in paese, come già facevano quelli di Brivio.
Nello stesso tempo, però, per non inimicarsi gli abitanti e dare loro motivo per tradire e gettarsi nelle braccia dei Veneziani, le massime autorità milanesi furono generose di privilegi e di esenzioni fiscali, permettendo anche il nascere e poi lo svilupparsi del contrabbando di merci verso lo Stato Veneto, lasciando mano libera alle più influenti famiglie del paese che ne tiravano le fila.
Rivali di giorno, le sponde notturne erano complici: clandestine granaglie verso la Val San Martino, pesca illecita con recinti e trasbordi notturni.
Il Fondo Sforzesco dell’Archivio di Stato di Milano è ricco di lettere in cui si denuncia quanto di disonesto e di truffaldino avveniva in questa zona di confine, ma pochissime volte si era avuta, da parte delle autorità centrali, una risposta veramente forte. Nella maggior parte dei casi venivano solo espressi generici apprezzamenti sulle attività di repressione svolte dai funzionari, ma nulla più!
Se si chiudeva un occhio sul contrabbando di merci con il Veneziano, più rigoroso invece era il controllo verso quelle persone, quali spie ed esiliati, che tentavano di uscire o di ritornare nel Ducato milanese per continuare la loro fronda contro il potere ducale, arrivando a volte a metterne in pericolo la sicurezza. Questi individui, come anche gli assassini e i ladri, trovavano facilmente barcaioli e pescatori compiacenti che, soprattutto di notte e dietro compenso, li traghettavano di qua o di là dell’Adda, secondo le loro esigenze.
Tutta questa gente al di fuori della legge trovava rifugio specialmente nelle zone di Sala e del Bisone che furono, per tutto il tempo che durò la dominazione veneta, un sicuro ricettacolo di fuoriusciti e banditi che la Repubblica di Venezia non volle oppure non riuscì mai a disperdere.
I controlli al porto servivano anche come prevenzione contro l’espandersi delle ricorrenti epidemie, fonte di grande preoccupazione per le autorità del Ducato. Non appena si spargeva la notizia della presenza di malattie infettive, come la peste, nei territori confinanti o in quelli Stati dai quali potevano provenire merci e persone, i punti obbligati di passaggio lungo i confini erano i primi ad essere allertati e le istruzioni su come doveva essere regolato il transito attraverso di essi. Essi diventavano automaticamente il fulcro della difesa sanitaria che doveva arginare l’espandersi del morbo: Olginate ed il suo “porto” era uno di questi.
Per la facilità di comunicazione e per gli ingenti traffici con la Brianza che utilizzavano il porto di Olginate si temeva il diffondersi dell’epidemia anche nel Milanese. In epoca di guerra o pestilenza, l’attraversamento diradava, istituendo lungo il fiume cordoni sanitari e vigilanze aggiuntive. Ogni persona che transitava da ambedue le sponde, doveva essere controllata per impedire il propagarsi di eventuali epidemie.
Il casello di sanità, un edificio che tutti vedono ma nessuno conosce, con una storia plurisecolare. Posizionato nel bel mezzo di un prato lungo la strada che conduce al Monastero del Lavello, attivo a partire forse dal XVI secolo. Utilizzato durante le pestilenze, versa oggi in un completo stato di abbandono: il tetto è compromesso e l’acqua ha fatto cedere una delle travi che reggono la pavimentazione. Basterebbe poco per salvarlo, prima che sia troppo tardi. Visto ogni giorno da migliaia di automobilisti, nemmeno i residenti conoscevano il suo segreto.
La gestione del traghetto fu per secoli di pertinenza della Comunità di Olginate che bandiva, ogni anno, un’asta per aggiudicarne la sua conduzione materiale, alla quale potevano partecipare solo gli Olginatesi o i residenti da un certo numero di anni in paese.
I comuni di Calolzio e di Vercurago vigilavano affinché il loro territorio non fosse minimamente intaccato tanto più che, con il passare degli anni, esso era in continua espansione perché i detriti scaricati dal torrente Gallavesa nell’Adda ne estendevano il delta a danno della sponda olginatese che veniva sempre più erosa dalla corrente del fiume. Per il perdurare di questo stato di cose, l’approdo del traghetto sulla riva bergamasca rimase per secoli solo una passerella che si calava in acqua al momento dello sbarco o dell’imbarco.
Solo verso la fine del Settecento, quando finalmente i due Stati si accordarono per regolare il corso dell’Adda, si misero le premesse, con l’imbrigliamento e la deviazione del letto del Gallavesa nel lago, per lo sfruttamento di questa landa deserta sui cui poi sorgerà l’attuale abitato del Pascolo. In quella occasione si dette inizio a lavori di rettifica e venne costruito, lungo il tratto di fiume che costeggiava il paese, un argine che proteggeva l’abitato dall’erosione delle acque e nello stesso tempo sosteneva la strada alzaia percorsa dai buoi o dai cavalli che trainavano i comballi che dovevano risalire la corrente. Nell’Ottocento poi, con il Regno Lombardo-Veneto, ebbero fine tutte le barriere confinarie e fu possibile istallare sulla sponda bergamasca un approdo e tutto l’occorrente per il funzionamento di un “porto volante a corda”.
Sul lato olginatese, per la costruzione dei muri di sostegno e per il riempimento degli argini, si utilizzò anche le macerie della torre di guardia della comunità e della chiesa di S. Margherita, entrambe abbattute per ricavare una piazza adeguata alle nuove esigenze imposte dei traffici.
Al termine di queste opere la larghezza del fiume, nel tratto davanti ad Olginate, fu raddoppiata, da 58 a 120 metri circa, rendendo quindi necessario un radicale cambiamento nella conduzione del traghetto e si dovette applicare uno dei metodi già in uso per altri traghetti lungo il corso dell’Adda.
Con l’apertura del ponte stradale nel 1911, si acquietarono, dopo secoli di denunce alle autorità da parte di entrambe le comunità, le animosità tra gli abitanti delle due sponde e rese definitivamente inutile il porto natante.
Così dopo più di 1500 anni, si ripristinava l’antico collegamento tra le due sponde.
La cessazione di questo servizio segnò l’iniziò della rottura del connaturale legame tra l’Adda e gli Olginatesi che ebbe il suo culmine nei decenni successivi con la costruzione della diga di regolazione delle acque del lago di Como che causò la fine del trasporto con barche lungo il fiume e della pesca professionale, con il conseguente e definitivo spostamento delle attività commerciali e culturali del paese più a monte, lungo la strada provinciale.
Quanta Storia dietro queste quattro mura.
Meriterebbe più che un semplice cartello!