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Le vie della fede
Chiesa di San Gregorio
La Chiesa di San Gregorio che si trova nella frazione San Gregorio di Cisano Bergamasco è un luogo di spiritualità e storia che affonda le sue radici nell’Alto Medioevo.
Immersa in un paesaggio suggestivo, racconta secoli di fede, arte e tradizioni locali. In questo articolo scopriamo le sue origini, le trasformazioni architettoniche e il valore simbolico che conserva ancora oggi per la comunità.
San Gregorio
Nacque a Roma intorno al 540 da una ricca famiglia patrizia. Studiò lettere e poi diritto, e appena trentenne, nel 572, fu nominato prefetto della città, la più alta carica civile a Roma.
I genitori Gordiano e Silvia (che la Chiesa venera santa il 3 novembre) gli trasmettono alti valori evangelici offrendogli anche un grande esempio. Dopo gli studi di diritto, Gregorio intraprende la carriera politica e ricopre la carica di prefetto della città di Roma. Questa esperienza gli fa maturare uno sguardo più consapevole sull’urbe e le sue problematiche e un profondo senso dell’ordine e della disciplina. Pochi anni dopo, attratto dalla vita monastica, decide di ritirarsi, dona i suoi averi ai poveri e fa della casa paterna al Celio un monastero che intitola a Sant’Andrea. Qui si dedica alla preghiera, al raccoglimento e allo studio della Sacra Scrittura e dei Padri della Chiesa.
Da monaco a Papa
Ma Papa Pelagio II lo nomina diacono e lo invia a Costantinopoli come suo aprocrisario (nunzio apostolico). Vi resta sei anni, e, oltre a svolgere i compiti diplomatici affidatigli dal pontefice, continua a vivere come monaco con altri religiosi. Richiamato a Roma, torna al Celio, ma morto Pelagio II, nel 590, viene scelto come suo successore. È una stagione difficile quella che Gregorio deve affrontare: i Longobardi imperversano, abbondanti piogge e inondazioni avevano provocato numerose vittime e causato ingenti danni, la carestia aveva colpito diverse zone dell’Italia e la peste continuava a far vittime. Gregorio esorta allora i fedeli alla penitenza e alla preghiera, invitandoli a prendere parte, per tre giorni, ad una solenne processione penitenziale verso la Basilica di Santa Maria Maggiore. Si narra che attraversando il ponte che collega l’area del Vaticano al centro della città (oggi ponte Sant’Angelo), Gregorio e la folla avrebbero avuto la visione dell’arcangelo Michele sulla Mole Adriana interpretandola come segno celeste che preannunciava la fine dell’epidemia. Da qui l’uso di chiamare l’antico mausoleo Castel Sant’Angelo.
Opera ecclesiastica e l’impegno civile
Sulla cattedra di Pietro Gregorio riorganizza l’amministrazione pontificia e si preoccupa della Curia romana, dove tanti ecclesiastici e laici avevano interessi ben diversi da quelli spirituali e di carità, sicché affida molti incarichi a dei monaci benedettini. Riforma anche le attività ecclesiastiche nelle diverse sedi episcopali, stabilisce che i beni della Chiesa vengano utilizzati per la sua stessa sussistenza e per la sua opera evangelizzatrice nel mondo e gestiti con assoluta rettitudine, giustizia e misericordia. Gregorio impiega anche i beni propri e i lasciti alla Chiesa per aiutare i fedeli: compra e distribuisce grano, soccorre i bisognosi, sostiene sacerdoti, monaci e claustrali in difficoltà, paga riscatti di prigionieri, si adopera per armistizi e tregue. A lui si devono anche mosse politiche per salvaguardare Roma – ormai dimenticata dagli imperatori – e trattative con i Longobardi per assicurare la pace nell’Italia centrale. Gregorio stabilisce rapporti di fraternità, si preoccupa della loro conversione e inoltre avvia missioni di evangelizzazione tra i Visigoti di Spagna, i Franchi e i Sassoni. In Britannia invia il priore del convento di Sant’Andrea al Celio, Agostino (poi vescovo di Canterbury), e quaranta monaci.
Servus servorum Dei
Gregorio riforma poi la Messa e la rende più semplice, promuove il canto liturgico, che da lui prende il nome di gregoriano, e scrive diverse opere. Il suo epistolario conta oltre 800 missive, svariate le omelie; celebre il suo Moralia in Iob (Commento morale al libro di Giobbe), dove afferma che l’ideale morale consiste nell’armoniosa integrazione tra parola e azione, pensiero e impegno, preghiera e dedizione ai propri doveri; e la Regola pastorale, che tratteggia la figura del vescovo ideale, insiste sul dovere del pastore di riconoscere ogni giorno la propria miseria, e riserva l’ultimo capitolo al tema dell’umiltà. Per dimostrare che la santità è sempre possibile, Gregorio redige i Dialoghi, un testo agiografico in cui narra gli esempi lasciati da uomini e donne, canonizzati e non, accompagnandoli con riflessioni teologiche e mistiche. Assai noto il libro II, dedicato a Benedetto da Norcia. Si può dire che Gregorio sia il primo papa ad aver utilizzato anche il potere temporale della Chiesa senza, comunque, dimenticare l’aspetto spirituale del proprio compito. Resta, però, un uomo semplice, tanto che nelle lettere ufficiali si definisce “Servus servorum dei”, “servo dei servi di Dio”, appellativo che i pontefici hanno continuato a conservare. Muore il 12 marzo del 604 e viene sepolto nella Basilica di San Pietro.
Si guadagnò subito la stima delle autorità imperiali e di tutti i romani, che presero a designarlo come “il console di Dio”. Alla morte del padre, dopo che sua madre Silvia si ritirò in monastero, lui stesso fece professione monastica nella casa paterna sul Celio, trasformata in monastero sotto il titolo di S. Andrea. La sua contemplazione si nutriva dello studio assiduo della Scrittura e dei Padri.
Papa Pelagio II nel 578 lo mandò come suo rappresentante presso l’imperatore d’Oriente, e nel 585 lo richiamò per farlo suo consigliere personale. Nel 589, alla morte di Pelagio II, stroncato dall’epidemia di peste scoppiata a Roma, Gregorio all’unanimità fu acclamato papa. Esercitò il suo governo attraverso vicari apostolici, in un periodo segnato da continui conflitti tra i Longobardi e l’esarcato bizantino. Con Milano e Aquileia riuscì a ricucire i rapporti, da tempo lacerati, tra i due patriarcati e il vescovo di Roma. Scrisse la Regola pastorale, nel desiderio di trasfondere la linfa evangelica del carisma del monachesimo nelle strutture ecclesiastiche; i Moralia in Job, per esortazione di Leandro vescovo di Siviglia; numerose Lettere, 40 Omelie e quattro libri di Dialoghi – una raccolta di vite di santi italiani – di cui il secondo dedicato interamente alla vita di san Benedetto. Portano il suo nome un Sacramentario e un Antifonario.
Il suo pontificato fu un annuncio ininterrotto del vangelo di Gesù, che leggeva attraverso tutte le Scritture e in comunione profonda con l’assemblea dei fedeli. Della sua ansia missionaria, l’espressione più celebre è l’invio nel 596 del monaco Agostino ad evangelizzare i popoli dell’Inghilterra. Morì il 12 marzo del 604, ed è considerato l’ultimo dei quattro grandi dottori dell’Occidente.
È uno dei primi quattro Dottori della Chiesa d’occidente, promosse l’evangelizzazione dell’Inghilterra e dettò le norme fondamentali del canto che da lui prese il nome. È Gregorio, a cui venne attribuito l’appellativo di Magno. Nato in una patrizia e ricca famiglia romana nel 540 circa, ebbe una buona formazione culturale. I suoi studi spaziavano dal diritto, alla Bibbia, alle opere dei Padri, in particolare di Sant’Agostino.
Poco più di trentenne venne nominato prefetto di Roma e il suo operato suscitò stima tra i suoi concittadini e le autorità imperiali. Fu chiamato “il console di Dio”. Dopo la morte del padre, sua madre Silvia divenne monaca, e lui trasformò il suo palazzo sul Celio in monastero, dedicandolo a Sant’Andrea.
La stima nei suoi confronti e la testimonianza di vita austera indussero Pelagio II a inviarlo come suo rappresentante presso l’imperatore Tiberio II a Costantinopoli, dove rimase fino al 586 circa. Rientrato a Roma, e dopo la morte di Pelagio II a causa della peste, venne acclamato Papa. Tra le prime iniziative, indisse una processione per chiedere a Dio la fine dell’epidemia che flagellava la popolazione.
Si dedicò al ripristino degli edifici religiosi e fondò alcuni monasteri. Nella difficile situazione politica e sociale in cui versava Roma, tra il vuoto del potere bizantino e la minaccia dei Longobardi, Gregorio riuscì a coordinare e organizzare la vita civile nell’Urbe. Seppe ben amministrare il patrimonio della Chiesa di Roma (Patrimonium Petri). Nominò vari rettori di sua fiducia, ai quali affidò poteri amministrativi e autorità spirituale. Fu un fervido predicatore e scrisse molte lettere e varie opere, tra le quali le Omelie e i Moralia in Iob (“Riflessioni morali sul libro di Giobbe”), che si diffusero rapidamente. Davanti a un mondo in decadenza e che sembrava destinato a scomparire, propose una vita autenticamente cristiana. Scrisse anche i Dialoghi, un testo agiografico, nel quali il libro II è dedicato a Benedetto da Norcia. Fu il primo a utilizzare nelle lettere ufficiali Servus servorum dei, “servo dei servi di Dio”, appellativo che i Papi hanno continuato a utilizzare. A lui si deve anche un Sacramentarium e un Antiphonarium.
Morì nel 604, venne sepolto nella Basilica di San Pietro e fu considerato subito come un Santo. Egli lasciò il segno nella vita della Chiesa e della società del tempo, quale guida della città di Roma.
San Gregorio Magno nacque a Roma verso il 540 da una famiglia dell’aristocrazie senatoria, forse quella degli Anicii (de senatoribus primis, la definisce Gregorio di Tours), fu eletto Papa e morì a Roma il 12 marzo 604. Santo e Dottore della Chiesa, fu l’unico Papa, con Leone I, a ricevere la qualifica di Grande.
La sua formazione culturale è di tradizione romana, soprattutto classica e giuridica, indispensabile per occupare, nel 573, la carica di praefectus urbis.
Verso il 575, abbandonò gli onori e le ricchezze della sua famiglia per darsi alla vita religiosa. Gregorio di Tours racconta che mentre prima lo si vedeva per le vie di Roma vestito di toga e di porpora, ornata di gemme, ora si scorgeva coperto dell’umile abito monastico. Il suo monastero fu la casa paterna, sul Clivus Scauri, alle pendici del Monte Celio, che intitolò all’apostolo Andrea.
Ne fondò poi altri sei nei suoi poderi in Sicilia. La regola adottata era quella di san Benedetto. Fu apprezzato dal Papa Pelagio II che, nel 579, lo inviò come suo rappresentante a Costantinopoli, presso l’Imperatore Tiberio II. Gregorio visse sei anni nella capitale bizantina, allargando il cerchio delle sue relazioni ed esperienze.
Pontefice romano
Tornato a Roma come abate nel suo monastero, fu eletto all’unanimità Papa dal clero e dal popolo romano. La cerimonia di consacrazione avvenne il 3 ottobre 590. La sua prima omelia, nella Basilica di San Pietro, traccia un quadro impressionante della situazione dell’Italia, in cui sembrava adempiersi la profezia di san Giovanni (Apoc. 18) sulla devastazione del quarto impero: quello romano, dopo gli assiri, i persiani ed i greci.
Nello spazio di meno di mezzo secolo Roma è devastata dalla guerra, dalla fame, dalla peste. «Dovunque vediamo lutti, dovunque sentiamo gemiti. Distrutte le città, abbattute le fortezze, devastate le campagne, la terra è stata ridotta a un deserto. Non è rimasto nessuno a coltivare i campi, quasi nessun abitante nelle città; e tuttavia anche questi piccoli resti del genere umano sono colpiti continuamente ogni giorno. E i flagelli della giustizia celeste non hanno termine, poiché neppure in mezzo ai flagelli si emendano le colpe. Vediamo alcuni deportati come schiavi, alcuni mutilati, altri uccisi (…) Ma noi vediamo com’è ridotta Roma stessa, che un tempo sembrava la dominatrice del mondo».
Piangendo e meditando sulla decadenza di Roma, sant’Agostino aveva scritto: “Roma non è perduta, se non si perdono i romani”. Romano è il nuovo Papa, che si accinge ad assumere un compito immane. L’epitaffio di Consul Dei che fu apposto, sul suo sarcofago, simboleggia le caratteristiche della sua personalità: la romanità e la fede cristiana.
La cura più immediata di Gregorio fu di assicurare una amministrazione efficiente dei Patrimoni della Chiesa (patrimonium Petri) non solo al fine di aiutare concretamente la popolazione romana, minacciata dalla carestia, ma anche perché la Chiesa iniziava ad assumersi responsabilità pubbliche che esigevano ingenti mezzi materiali.
Dobbiamo ricordare inoltre che a partire dal V secolo, in un periodo in cui mancava un’amministrazione imperiale continuativa ed efficiente, la Chiesa cominciò ad occuparsi delle vedove, degli orfani, dei minori e dei prigionieri. Il Laterano si assunse il compito di organizzare gli spettacoli pubblici e di gestire servizi urbani quali il rifornimento idrico, la sanità pubblica o la nettezza urbana.
L’evangelizzazione dell’Inghilterra e del mondo germanico
Per Gregorio la missione primaria della Chiesa fu l’azione evangelizzatrice secondo il mandato del suo Fondatore: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a tutte le genti» (Mc. 16,15). Il significato di questa universalità è quello di un annuncio di fede inviato, nella sua integrità e totalità a tutto il mondo, a tutti i popoli, per la durata di tutta la storia.
Correva l’anno 596, quando egli decise di affidare ad alcuni monaci del suo monastero del Celio, l’impresa di convertire l’Inghilterra. Il venerabile Beda ci ha lasciato un dettagliato resoconto di quell’impresa, di cui Gregorio non poteva prevedere le grandiose conseguenze: essa avrebbe aperto la strada alla missione fra i popoli della Germania.
Secondo la tradizione egli restò commosso nel vedere un gruppo di Britanni, biondi e belli come angeli sul mercato degli schiavi di Roma. In Anglia, l’isola degli angeli, il Re Etelberto di Kent aveva sposato una principessa cattolica, Berta, pronipote di Clodoveo. Solo anno dopo, nella Pentecoste dell’anno 597, il re anglosassone entrò nell’unità della Chiesa. Il re Etelberto cedette il suo palazzo reale di Canterbury al monaco Agostino che ne fece la sua sede episcopale e il centro di irradiazione del Cristianesimo in Inghilterra..
Questa conversione fu memorabile. Dopo il battesimo di Costantino e quello di Clodoveo, non c’era stato evento più importante negli annali del Cristianesimo. I popoli anglosassoni vennero a conoscere, grazie ai predicatori del Vangelo, non solo la fede cattolica, ma anche le leggi romane, che continuarono a mantenere la loro importanza universale anche nei luoghi dove lo Stato romano non era ormai altro che un nome vuoto di senso.
Il monastero benedettino di Canterbury divenne il punto di partenza di un movimento di organizzazione e unificazione religiosa e culturale che creò in Occidente un nuovo centro di civiltà cristiana, definito dallo storico inglese Christopher Dawson, «forse l’evento più importante tra l’epoca di Giustiniano e quella di Carlo Magno».
L’evangelizzazione della Britannia fu parallela a quella che Gregorio promosse preso i popoli della Gallia. Ma se l’azione missionaria presso i Britanni era diretta a infondere la fede in un popolo pagano, presso i Franchi occorreva invece risvegliare la vita cristiana che già si era diffusa tra essi un secolo prima, con la conversione di Clodoveo.
La Chiesa nei Paesi dell’antica Gallia non era mai stata infetta da eresia o scisma: i Franchi, a differenza di tutti gli altri popoli barbari, non erano caduti nell’arianesimo; ma ora erano immersi nella decadenza spirituale e morale. Il Papa si servì, per influire su di essi, della Regina Brunilde, madre del re Childeberto, ma vera reggente della politica del regno. La Francia costituì una testa di ponte per la penetrazione del Cristianesimo in Inghilterra e riconfermò il suo ruolo di alleata principale della Chiesa.
San Gregorio Magno e la sua azione contro l’eresia ariana
Situata all’estremità dell’Europa, la Spagna era l’ultimo ridotto, apparentemente inespugnabile, dell’arianesimo, professato dai re visigoti. San Leandro, vescovo di Siviglia, e poi il fratello Isidoro, anch’egli vescovo e santo, furono il grande strumento nelle mani di Gregorio per la liberazione della Spagna da questa eresia.
Quando la marea islamica superò lo stretto di Gibilterra e la Spagna visigotica crollò, un gruppo di cavalieri cristiani, formati allo spirito di san Leandro e di sant’Isidoro, formò il primo nucleo di quella che sarebbe stata la Reconquista. Anche questa epopea ebbe tra le sue cause remote l’evangelizzazione della Spagna da parte di san Gregorio.
L’arianesimo e l’idolatria minacciavano seriamente anche l’Italia. All’epoca in cui egli venne eletto Papa, l’Italia era già in gran parte sotto il dominio dei Longobardi. A Gregorio non interessava l’egemonia politica, ma quella spirituale sulla penisola. Re Autari era morto il 5 settembre 590, due giorni dopo la consacrazione di Gregorio. La vedova Teodolinda, figlia del duca di Baviera, aveva allora offerto la sua mano e la corona ad Agilulfo, duca di Torino. Gregorio ripose le sue speranze nella regina, fervente cattolica. Grazie al suo influsso, Agilulfo, sebbene ariano, fece battezzare il suo primogenito nella religione cattolica.
Questa conversione e quella di molti grandi della corte fu un fatto di alta importanza, ma non produsse le conseguenze profonde di quella di Clodoveo. Agilulfo si spinse contro Roma, ma fu costretto a ritirarsi di fronte all’energico contegno del Papa, che difese la città anche dai Duchi di Spoleto e di Benevento. Finalmente, nel 598, Gregorio ottenne che tra Longobardi e Bizantini fosse stipulata una tregua, poi mutata in pace nel 609. Allora cessò la guerra in Italia per molto tempo. Teodolinda di Baviera, assieme a Berta e a Brunilde, forma il trittico delle figure femminili con cui Gregorio ebbe relazioni privilegiate, comprendendo il ruolo prezioso della donna nel nuovo mondo cristiano che nasceva.
Il primato pontificio
Le radici cristiane della civiltà occidentale hanno la loro espressione non solo nell’opera di evangelizzazione dei popoli barbari, ma anche nella teoria e nella pratica della distinzione tra i due poteri: quello spirituale e quello temporale. Un dualismo sconosciuto al mondo islamico, che a partire dal VII secolo, vivrà nella confusione dei due ordini, ma anche al cesaropapismo bizantino. L’apporto di Gregorio non fu però speculativo, ma pratico. In lui non dobbiamo cercare il teorico dei due poteri, ma colui che ne realizzò la prassi, rivendicando l’autorità del Pontefice romano, e quindi dello spazio sacrale, di fronte non solo all’Imperatore, ma anche ai nuovi regni romano-barbarici, di cui il Papa fondò la legittimità
Sono celebri le parole che scrisse al vescovo Sabiniano di Iadera (Zara) in Dalmazia e che, come osserva il padre Grisar, possono dirsi con verità la voce di tutto il suo pontificato: «Volgete i vostri passi verso questa pietra inconcussa sopra la quale il Redentore nostro volle fondare la Chiesa universale; lungi da questo termine troverete ostacoli e smarrirete la via».
Di fronte al patriarca di Costantinopoli, che si proclamava universale, egli riaffermò il primato dell’unica Chiesa di Roma, perché sede del Pontefice, successore di Pietro. Con l’adozione del titolo di Servus servorum Dei, Gregorio sottolineava il contrasto tra la propria concezione dell’umiltà cristiana e la magniloquenza dei patriarchi bizantini, ma senza rinunziare ad esaltare l’ufficio Papale (cfr. Mt. 23,11-12: Lc. 9,48). L’appellativo servus servorum Dei non costituisce la negazione del Primato pontificio, ma la spiegazione del suo fondamento.
La formula di Gregorio ricorda quella del suo predecessore Leone: «Indegno erede di san Pietro», e anticipa il Dictatus Papae di san Gregorio VII: il Papa diveniva l’erede di san Pietro per quanto riguardava il suo status giuridico e i suoi poteri oggettivi, ma non per quanto riguardava il suo status personale e i suoi meriti oggettivi. La distinzione tra l’ufficio e il detentore dell’ufficio, tra la persona pubblica del Papa e la sua persona privata, si sarebbe rivelata fondamentale nella storia del Papato.
San Gregorio Magno e l’ascesa del Papato
Bisogna attendere san Leone Magno, ma soprattutto san Gregorio Magno per vedere emergere sulla scena europea il nuovo ruolo pubblico del Papato. Gregorio non fu come sostengono alcuni storici anticattolici, il creatore dell’istituzione pontificia nel VII secolo, ma colui che la consolidò e ne affermò l’autorità e il prestigio nella scena storica del suo tempo.
Fu grazie a Gregorio Magno che la fede cattolica iniziò a diventare e poi fu, per quasi mille anni una sola cosa con l’Europa. La gerarchia della Chiesa, la sua unità e il suo senso di disciplina, la sua lingua, furono la principale istituzione civile e il collante che resse una società che si disintegrava.
Nell’orizzonte di caos del VI secolo, la Chiesa è l’unica istituzione che restò in piedi, conservando i tesori naturali della civiltà, ma soprattutto infondendo le nuove energie soprannaturali destinate a rinnovarla.
«Gregorio Magno – scrive mons. Benigni – non fu né “il primo dei pontefici”, né “l’ultimo dei romani”, ma fu il primo dei pontefici e l’ultimo degli antichi romani, che ebbe forza ed occasione di mostrare all’intero mondo civile – egli che egli mandava missionari in Britannia e corrispondeva coi monaci del monte Sinai – la grandezza della Roma papale nell’antica Roma civile, nel momento in cui questa si dileguava per sempre». L’azione di Gregorio fu, intrinsecamente religiosa. Ma proprio per questo ebbe delle conseguenze politiche e sociali di straordinaria fecondità.
Nativo di Roma, apparteneva alla nobile gens Anicia (la stessa di san Benedetto, del quale scrisse una celebre Vita) ed era figlio di Gordiano e santa Silvia. Sulle orme del padre si avviò alla carriera amministrativa e intorno ai 32 anni divenne prefetto dell’Urbe, maturando quel senso per l’ordine e la disciplina che poi trasmetterà ai vescovi. Fu in questo periodo che sentì fortissima la chiamata di Nostro Signore. Lasciò ogni carica civile ritirandosi a vita monastica nella sua casa sul Celio, che trasformò in un monastero benedettino, intitolato a sant’Andrea. Gli anni da monaco furono spiritualmente ricchissimi e da lui vissuti nella contemplazione e nel digiuno, nell’approfondimento delle Sacre Scritture e dei Padri della Chiesa. Per la stima dei Papi dovette interrompere quel suo fecondo ritiro e nel 579 venne inviato da Pelagio II come apocrisario presso la corte di Costantinopoli, dove rimase sei anni per cercare aiuti contro la minaccia longobarda.
Nell’inverno d’inizio 590 un’epidemia di peste ebbe tra le sue vittime pure il pontefice, morto il 7 febbraio. Gregorio, intanto tornato all’amato raccoglimento monastico, fu chiamato al soglio di Pietro dalle vive insistenze del clero, del popolo e del senato di Roma. Cercò di resistere in vari modi – pure attraverso la fuga, secondo una tradizione posteriore – ma alla fine cedette, ormai convinto che quella fosse la volontà di Dio: la consacrazione avvenne il 3 settembre (giorno della sua ricorrenza liturgica). Affrontò subito con grande lucidità la questione longobarda nonostante l’inerzia e gli ostacoli posti dai Bizantini, con base a Ravenna. Dando fondo ai suoi beni convinse re Agilulfo a sollevare Roma dall’assedio, riscattò i prigionieri e con santa perseveranza – grazie anche ai buoni rapporti instaurati con la regina Teodolinda – riuscì a favorire l’armistizio tra Longobardi e Bizantini, pacificando la penisola e avviando la conversione dei primi al cattolicesimo.
Nel frattempo aveva curato gli acquedotti, attuato una riforma agraria e distribuito grano ai bisognosi, specialmente in Sicilia, dove i suoi possedimenti si tramutarono in diversi monasteri. L’indispensabile attenzione verso i problemi politici, in quell’epoca di vuoto, non lo distolse dunque dalle preminenti cure per la Chiesa, desideroso com’era di condurre a Cristo quante più anime possibili. Sotto il suo pontificato i Visigoti di Spagna si convertirono dall’arianesimo e, nel 597, fu Gregorio a inviare una quarantina di monaci benedettini, guidati da colui che diverrà noto come sant’Agostino di Canterbury, per rievangelizzare l’Inghilterra. Si avvalse dei benedettini anche per la riforma della Curia, affidando loro molti incarichi al posto di ecclesiastici indegni. Umile e deciso al tempo stesso, contestò il titolo di «patriarca ecumenico» assunto superbamente dal patriarca di Costantinopoli (Giovanni IV) e, rimanendo inascoltato, introdusse il nuovo titolo papale di «servo dei servi di Dio».
Promosse quella forma di canto liturgico che da lui prenderà il nome di «gregoriano», mentre rimaneva sempre malaticcio e la voce debole lo costringeva spesso a far leggere le sue omelie a un diacono. In tutto questo operare insegnava che il ministerium attivo nasce dalla contemplazione, senza la quale non è nemmeno possibile immaginare la cura delle anime, che chiamava «l’arte delle arti», spiegando che il pastore può adempiere il suo altissimo compito solo se riconosce la propria miseria e si affida totalmente a Dio. Con questo stesso atteggiamento di ascolto della divina volontà scrisse le Omelie sui Vangeli, i Dialoghi, la Regola pastorale e la sua opera principale, Moralia in Iob, cioè un’esegesi del Libro di Giobbe che nel Medioevo è stata considerata «una specie di Summa della morale cristiana» (Benedetto XVI).
Di lui ci rimane pure un epistolario fatto di 848 lettere, una fonte preziosa per comprendere la sua epoca nonché miniera di consigli e insegnamenti. «Che cosa è la Sacra Scrittura se non una lettera di Dio onnipotente alla sua creatura?», scrisse per esempio a un uomo pieno di talenti, ma che si perdeva nelle cose mondane: «Il Signore degli uomini e degli angeli ti ha mandato sue lettere che riguardano la tua vita […]; impara a scoprire il cuore di Dio nelle parole di Dio, perché tu possa attendere con maggiore slancio alle cose eterne». Tra i primi quattro dottori della Chiesa (con Agostino, Ambrogio e Girolamo), raccomandava di accostarsi alle Sacre Scritture non con la voglia di dominarle, per orgoglio e una mera sete di conoscenza che rischia di sfociare nell’eresia, bensì come nutrimento dello spirito, unendo lo studio alla preghiera.
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La Chiesa
Nella frazione San Gregorio di Cisano Bergamasco, è possibile ammirare la chiesetta medievale intitolata all’omonimo santo che, posta sulla collina in posizione dominante, possiede ancora il campanile ricavato da una torre medievale.
La chiesa, orientata con l’abside ad est, è anticipata da un ampio sagrato pavimentato con lastre di pietra. La prima citazione diretta di una chiesa intitolata al papa Gregorio Magno la si trova in un inventario dei beni del Monastero di Pontida del 1287. La costruzione dell’edificio dunque, ad opera di maestranze bergamasche, è risalente al XII secolo.
La chiesa conserva un calice che fu ordinato dagli abitanti la frazione e dall’allora parroco don Martinoni con l’intitolazione della chiesa ai santi Marco e Gregorio.
Le difficoltà dei fedeli di recarsi nella chiesa di San Paolo, a Monte Marenzo, a causa delle situazioni climatiche che creavano inondazioni, nel Quattrocento chiesero di poterne ottenere l’autonomia.
Diventando chiesa parrocchiale l’edificio, che doveva essere in origine una piccola cappella, fu notevolmente ampliato. La nuova vetrata da inserire nel rosone aperto sopra la porta principale fu posta nel 1575.
Nel 1896 il vescovo Gaetano Camillo Guindani consacrò l’edificio di culto confermandone l’intitolazione a papa San Gregorio Magno. Il Novecento vide la chiesa oggetto di lavori di ampliamento con la costruzione della cappella dedicata alla Madonna di Lourdes e con nuovi decori e stucchi a opera di Ercole Noris. Nella seconda metà del XX secolo fu realizzato il nuovo altare comunitario in ottemperanza alle disposizioni del concilio Vaticano II.
L’edificio di culto è posto sulle pendici del monte Marenzo, rivolto verso il torrente Sonna. Si presenta dal classico orientamento liturgico con abside a est, è preceduto da un ampio sagrato con pavimentazione in lastre di pietra. Un portico ad archi che poggiano su colonne in pietra, anticipa una facciata in muratura. Gli archi reggono la trabeazione e il parapetto del terrazzino sovrastante. La facciata è tripartita da lesene che reggono il cornicione e la trabeazione e il timpano curvo dove è posto l’affresco raffigurante San Gregorio Magno.
L’interno a unica navata è diviso da lesene in tre campate. Le lesene poggiano su un basamento che percorre tutta l’aula e terminano con capitelli d’ordine corinzio che reggono la trabeazione e il successivo cornicione dove s’imposta la volta a botte. La prima campata è dedicata alla zona penitenziale con confessionali posti sia a sinistra che a destra, mentre nella seconda vi è l’altare della Madonna del santo Rosario e a destra dei santi Rocco e Sebastiano. La terza campata a sinistra presenta la cappella dedicata alla Madonna di Lourdes, a destra vi è il pulpito ligneo.
La zona presbiteriale è preceduta dall’arco trionfale e due gradini nonché due balaustre. La parte a pianta rettangolare con volta a botte termina con il coro absidato con copertura da catino. Nel settore centrale dell’ordine inferiore è posto l’ingresso con serramento in legno delimitato da lesene in muratura. In alto e centrale è collocata una finestra sagomata leggermente svasata. Il timpano curvo che ospita al centro la figura del Santo protettore della chiesa, conclude architettonicamente l’edificio.
Nella frazione San Gregorio, tutti i giorni dal 28 agosto al 03 settembre a partire dalle ore 19, festa patronale legata alla ricorrenza di San Gregorio Magno.